venerdì 2 ottobre 2009

A volte ritornano: l'oltraggio a pubblico ufficiale

Affogata nel mare magnum mediatico che si è occupato del c.d. "pacchetto sicurezza", la resurrezione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale è passata quasi inosservata, specie per chi, come me, lo riteneva un retaggio del passato.
Invece l'art. 1 c 8 della celebre L. 94/09, con la consueta tecnica del bricolage legislativo, trova spazio per questo reato inserendo nel codice penale l'art. 341 bis dopo il fantasma 341, articolo che conteneva la disciplina abrogata dalla L. 205 del 1999.
Fino all'abrogazione, questo residuo del codice Rocco aveva destato molto polemiche nell'Italia Repubblicana. Tuttavia la Corte Costituzionale aveva sempre difeso l'esistenza di una "tutela rafforzata" per i pubblici ufficiali ritenendo che la disuguaglianza realizzata rispetto ai comuni cittadini trovasse il suo fondamento nel superiore interesse al buon andamento della pubblica amministrazione, fine ultimo dei pubblici ufficiali. Pertanto la Corte non ha mai ravvisato una violazione dell'art. 3 della Carta Costituzionale. Tuttavia il contrasto continuo con altri diritti sanciti dalla Carta, quali il diritto di cronaca e di libera manifestazione del pensiero ("stranamente" tornati di grande attualità) ha segnato la strada fino all'abrogazione del '99.
In questi 10 anni di "assenza" di una norma sanzionatoria ad hoc certo non si sono estinti comportamenti offensivi nei confronti dei pubblici ufficiali, ma l'ordinamento ha inteso ricondurre questo fenomeno nell'alveo dei delitti contro la persona ed in particolare nei delitti contro l'onore (ingiuria aggravata ex artt. 594 61 n 10 c.p.). La tutela riconosciuta dall'ordinamento, dunque, si era spostata dall'astratta onorabilità del pubblico ufficiale quale emanazione della PA a quella più concreta della persona offesa, la cui iniziativa era necessaria per il perseguimento del colpevole.
A ciò si aggiunga che lo Stato si era comunque riservato la possibilità di perseguire e punire condotte offensive genericamente rivolte a emanazioni della pubblica amministrazione mediante il reato previsto dall'art. 342, oltraggio a corpo politico/amministrativo/giudiziario.

Questa impostazione è ora abbandonata dal Legislatore, ma per capire se ci sia limitati ad un ritorno al passato o meno è necessario analizzare il testo delle due norme.
L'art. 341 recitava:
"1)chiunque offende l’onore O il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa O nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. 2)La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritto o disegno, diretti al pubblico ufficiale, e a causa delle sue funzioni.3) La pena è della reclusione da uno a tre anni, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. 4)Le pene sono aumentate quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l'offesa è recata in presenza di una o più persone".

La nuova disciplina del reato prevede invece che:

"1) Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l'onore ED il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ED a causa o nell'esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni. 2) La pena è aumentata se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l'ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'offesa non è punibile. 3)Ove l'imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell'ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto".

La struttura del reato, dunque, è la medesima. Si tratta di un reato comune, di mera e libera condotta, punibile a titolo di dolo generico e perseguibile d'ufficio. Viene inoltre mantenuta l'aggravante speciale dell'attribuzione di un fatto determinato.

Qui però finiscono le similitudini. Il nuovo testo infatti prevede che onore e prestigio del pubblico ufficiale vengano lesi simultaneamente e non più alternativamente, lasciando agli interpreti il compito (ed il gusto) di discernere quali gesti e/o espressioni ledano solo una dei due "sentimenti" e quindi non integrino il reato. Parimenti l'offesa deve SEMPRE mantenere un rapporto di causalità con l'atto del pubblico ufficiale e deve giungere mentre il pubblico ufficiale compie un atto dell'ufficio. Irrilevanti dunque le offese che giungono al pubblico ufficiale al di fuori del suo ufficio anche quando il reo conosce la qualità di pubblico ufficiale della persona offesa (condotta che invece secondo la previgente normativa integrava il reato). Questi sono elementi nuovi nella costruzione del reato che sicuramente ne limitano la portata. Al comma III viene introdotta una speciale causa di estinzione del reato a vantaggio esclusivo di coloro che abbiano le sostanze per pagare un doppio risarcimento. La norma infatti lo prevede sia a carico sia in favore del pubblico ufficiale che dell'ente cui appartiene. Mutuata dall'art. 596 c III la scriminante speciale della veridicità del fatto attribuito prevista dal comma II che manda esente da responsabilità l'autore del fatto.

Vi è inoltre da fare una precisazione. La richiamata L 94 (art. 1 c 10) ha abrogato l'art. 4 del decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288. Questa risalente norma doveva la propria popolarità al fatto di rappresentare un esplicito riconoscimento al diritto di difesa sostanziale del soggetto rispetto al sopruso del pubblico ufficiale. Anche in rete è circolata con insistenza la notizia che la legge avesse cancellato questa possibilità difensiva. In realtà a questa abrogazione è corrisposta una trasposizione del testo luogotenenziale in un identico articolo del codice penale. Il comma 9 dell'art. 1 L. 94/09 introduce una specifica causa di non punibilità per i reati previsti dagli artt. 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 337 (resistenza a un pubblico ufficiale), 338 (violenza o minaccia a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario), 339 (circostanze aggravanti), 341 bis (oltraggio a pubblico ufficiale), 342 (oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario) 343 (oltraggio a un magistrato in udienza) c.p.
L’art. 393 bis c.p. scrimina la condotta di colui che commesso il fatto previsto dagli articoli su riportati quando lo stesso sia determinato dal comportamento del pubblico ufficiale che abbia ecceduto con atti arbitrari i limiti delle proprie attribuzioni. Non è stato svilito dunque il diritto di difesa sostanziale del soggetto che reagisca ad un abuso del pubblico ufficiale.

Il Legislatore anche con questo intervento continua a disegnare il proprio modello di "sicurezza". Nella specie (re)introducendo un reato che, com'è facile immaginare, non aiuterà le forze dell'ordine nel proprio lavoro quotidiano, ma che, senza ombra di dubbio, ingombrerà i tribunali con processi spesso destinanti a finire nel nulla. Questo intervento, contraltare della creazione delle "ronde volontarie", alza ancora di più il velo sulla key-word "sicurezza" scoprendo un piano fatto esclusivamente di "interventi a costo zero", che (purtroppo) avranno un pari risultato nella repressione del crimine. Anche ad ascoltare le organizzazioni di categoria delle forze dell'ordine infatti, appaiono ben altri gli interventi di cui avremmo tutti bisogno.

Nessun commento:

Posta un commento

A volte ritornano: l'oltraggio a pubblico ufficiale

Affogata nel mare magnum mediatico che si è occupato del c.d. "pacchetto sicurezza", la resurrezione del reato di oltraggio a pub...